domenica 28 dicembre 2025

L'erosione delle community: perché i gruppi di nicchia stanno diventando tossici?

Oggi non parliamo di vie di arrampicata o delle emozioni legate ad esse, ma di un tecnicismo che noto sempre più spesso tramite la mia lente di professionista in ambito digital. C’è un paradosso strano che abita gli spazi condivisi online: teoricamente, i gruppi Facebook (o i forum vecchia scuola rimasti attivi) dedicati alle nostre passioni, che sia l’arrampicata, la fotografia outdoor o la camperizzazione di vecchi van, dovrebbero essere un porto sicuro. Luoghi dove sentirsi a casa, scambiarsi consigli sulla "scarpetta" giusta o condividere la gioia di un tiro finalmente chiuso dopo mesi di tentativi. Invece, sempre più spesso, ne usciamo con l'amaro in bocca e i nervi tesi.


Da tempo osservo questa deriva con gli occhi di chi quegli ambienti li frequenta per passione. Quello che accade è una sorta di erosione. Chi entra per chiedere un consiglio o per pubblicare una foto si ritrova in un'arena di "elitismo tossico" dove la competenza non viene usata per accogliere, ma per alzare muri.

La radice del problema sta in quella che gli esperti chiamano "disinibizione online". Lo schermo ci fa sentire invisibili, toglie il peso del confronto fisico e annulla l’empatia. È così che persone che probabilmente alla base di una falesia accetterebbero volentieri "il tuo panino con la salsiccia", dietro una tastiera si trasformano in giudici spietati.

In questo vuoto pneumatico di contatto umano, molti utenti finiscono per agire come veri e propri troll: individui che non cercano il confronto, o mascherano per confronto la soddisfazione esclusiva del provocare, distruggere e alimentare conflitti. Spinti dall'idea che "online tutto è concesso", lanciano esche polemiche solo per vedere il gruppo bruciare, trasformando una discussione tecnica in un linciaggio.

Scatta poi quella difesa del fortino, il cosiddetto gatekeeping o ostruzionismo di ingresso chiamatelo come volete, dove chi è dentro da più tempo decide chi ha il diritto di definirsi un "vero appassionato". Se non conosci la storia, se il tuo stile non è allineato al loro, o anche se semplicemente fai una domanda troppo banale, diventi un bersaglio per i guardiani della purezza.


La cosa assurda è che in questo circolo vizioso più siamo simili, più diventiamo feroci. Ci scanniamo su dettagli insignificanti solo per nutrire l'ego e marcare il territorio. È il narcisismo delle piccole differenze che, nei casi peggiori, tracima fuori dal monitor trasformandosi in vandalismo, stalking o violenza psicologica. In questo clima, gli algoritmi fanno il resto: premiano chi urla più forte, chi divide, chi crea fazioni. O sei con il branco o sei un incompetente. Il "dipende", che è la base di ogni crescita reale, scompare.

Il risultato finale è tecnicamente la "spirale del silenzio". Gli utenti più esperti, quelli moderati ed educati che avrebbero davvero qualcosa da insegnare, vedono il fango, si stancano e smettono di partecipare. Restano solo i polemici di professione e i troll a urlarsi addosso in un guscio vuoto. Il gruppo resta numeroso, ma la qualità è morta.

Dobbiamo dircelo chiaramente: se gestiamo queste community, dobbiamo smettere di confondere la libertà di parola con il diritto all'insulto. Moderare non è censura, è fare giardinaggio. Se non estirpi le erbacce, i fiori non hanno spazio per crescere. E a chi ne sa di più, servirebbe ricordare che la vera autorevolezza non ha bisogno di aggredire per essere riconosciuta. Se usi quello che sai per umiliare chi ne sa meno, non sei un maestro: sei solo un bullo 2.0 con lo smartphone in mano.

Le community sono organismi viventi, come gli alveari. Se smettiamo di curarle, moriranno per la loro stessa tossicità. Forse è ora di tornare a parlare di ciò che amiamo con lo stesso spirito con cui ci leghiamo alla stessa corda: con la consapevolezza che le parole, esattamente come i gesti in parete, hanno sempre un peso.

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