lunedì 28 luglio 2025

Monte Cucco: Via Luc e Via Luis (5a, 90 m, 4b obb. )

Si tratta di due piacevoli short-climbs situate sulla placconata appoggiata alla destra della più nota Torre del Monte Cucco dove è presente una piccola statua del Redentore. Le vie sono ottimamente e generosamente protette con resinati inox, nonostante la presenza di numerose clessidre naturali. L’esposizione è ideale per l’estate: al sole rimane solo l’uscita dell’ultimo tiro, mentre il resto della parete resta in ombra. L’accesso è semplice e veloce: in 5 minuti dal parcheggio del campeggio "Cucco Base Camp" di Orco Feligno (consigliato anche per il soggiorno). Si oltrepassa una stazione del "Percorso Vita" e si segue una traccia sulla destra che porta rapidamente al settore Primi Passi. Da lì, si risale un breve canale a destra che conduce alla base delle vie. La discesa è comune e molto rapida, seguendo la linea della via "Diedro Canale": 2 calate da 30 metri in doppia.

Via LUC

Zona: Finale Ligure / Orco Feglino
Sviluppo: 80 m, 3L
Esposizione: NW
Tempo: 1 h
Difficoltà: 5a
Discesa: in doppia
Materiale: singola, 12 rinvii
Protezioni: resinati

La via a resinati più a destra della placca, contraddistinta da un grosso vecchio anello. Della placca è anche la più interessante dal punto di vista alpinistico e storico: aperta nel 1969 da A.Grillo e compagni. Il primo tiro è una placca verticale a buchi, il secondo segue un sistema di diedri fino alla cengia per sostare a destra. L'ultimo tiro vince il bel pilastro fessurato e verticale ben visibile anche dal campeggio. Per traccia a piedi si arriva alla doppia di calata posta a sinistra all'uscita del Diedro Canale.



Via LUIS

Zona: Finale Ligure / Orco Feglino
Sviluppo: 75 m, 3L
Esposizione: NW
Tempo: 1 h
Difficoltà: 5a
Discesa: in doppia
Materiale: singola, 10 rinvii, cordini.
Protezioni: resinati

Si tratta della la via appena a destra del Diedro Canale, arrampicata divertente su placche a buchi ma un po' anonima rispetto alla Luc.
Per evitare la doppia sulla via è consigliabile salire anche l'ultimo tiro che però è da proteggere a clessidre e alberelli; l'ultima sosta è stata rimossa ma è possibile recuperare il secondo strozzando dei cordini nei tasselli con dado. Per traccia a piedi si arriva alla doppia di calata posta a sinistra all'uscita del Diedro Canale.





lunedì 21 luglio 2025

Monte Verena: Via Dama Bianca (180 m, V+)

Zona: Monte Verena
Sviluppo: 180 m
Esposizione: NE
Tempo: 3 h
Difficoltà: V, V+
Discesa: a piedi
Materiale: friend fino al 3
Protezioni: cordini, chiodi

Bella intuizione di Mathias Stefani per questa via di arrampicata tradizionale, aperta in solitaria, su roccia bianca e compatta a fessure e diedri, su parete inusuale e molto fresca anche in estate. Ideale per chi ama l'ambiente e non disdegna i lunghi avvicinamenti (ma non troppo). Le difficoltà non sono eccessive ma è necessario sapersi proteggere adeguatamente lungo i tiri. Al termine della via consigliato un piatto di bigoli e una birra al Rifugio poco lontano dall'uscita della via. 

Accesso: si parcheggia nel piazzale degli impianti del monte Verena, gratuito in estate. Prendere la strada sulla destra dell'impianto che risale la pista. Arrivati nel falsopiano in vista dell'impianto superiore (Pista dei Caprioli) prendere una strada-raccordo con sbarra che si collega alla forestale n°820 che si segue in discesa fino al tornante con una palina CAI (30 minuti con buon passo). Scendere il canale per 200 m. Attraversare a destra viso a monte superando una costola erbosa (ometti). Attraversare lungamente sotto parete  superando un primo spigolo e arrivando ad un secondo. Attacco indicato da un chiodo con cordone su una placca di fianco ad un diedro obliquo. (40 minuti dal tornante se non si perde la traccia).

Descrizione:
L1: salire con andamento diagonale verso sinistra per una fessura e vari risalti fino ad un chiodo con cordone giallo che indica il punto di sosta da integrare con friend. IV, 25 m
L2: si attraversa in orizzontale verso sinistra e poi in verticale per una lama, una fessura e un camino che conduce alle grandi placche che si seguono con leggera destra fino a una cengia comoda. Sosta su grossa clessidra con anello. V, 35 m
L3: rimontare la bella colata nera a gocce fino ad una cengia poi prendere delle fessure che permettono di raggiungere una seconda piccola cengia. Qui si attraversa nettamente a destra per ballatoio (cordone) fino a una grossa cengia con sosta su due chiodi e anello. V+, 25 m
L4: si superano delle belle placche e poi delle rocce rotte sempre con andamento verso destra fino ad arrivare ad una zona mugosa dove si sosta su mugo. IV+, 45 m
L5: variante di uscita non originale. Si attraversa a sinistra e fino a superare un larice e ci si trova sotto alla curiosa "Scodella". La si supera nel centro fino ad uscire sulla sommità a sostare su una clessidra. Libro di via. IV, 50 m

Discesa: attraversare per traccia a sinistra superando della vegetazione alta in leggera salita fino ad arrivare nei pressi dell'ultimo tornante prima del Rifugio (5 minuti). Dal rifugio si scende dalle piste lungo la traccia marcata ed in 15-20 minuti si è nuovamente alla macchina.

Relazione originale



L3

La scodella

Il canalone da scendere

Il raccordo a destra: non raggiungere il Rifugio all'andata

L3

L4

L1




giovedì 17 luglio 2025

Monte Cengio: Via Piccole Mani (6b+, 240 m, 6a obb.)

Zona: Monte Cengio
Sviluppo: 260 m, 8L
Esposizione: S
Tempo: 2 h
Difficoltà: 6b+, 6a obb.
Discesa: a piedi
Materiale: singola, 10 rinvii
Protezioni: fix, chiodi, cordini

E con "Piccole mani" in versione serale, completiamo la ripetizione della doppietta di nuove vie di arrampicata del 2025 del Gruppo 4 Gatti. Chiodatura ottima, pulizia maniacale e due piccole opere d'arte all'attacco al posto del classico nome. In Altopiano la valorizzazione delle pareti e del territorio continua a stupire e ispirare, grazie alla passione e all'impegno di questo gruppo di apritori. Via di soddisfazione.

Accesso: dal park del Rifugio Granatiere prendere il sentiero che conduce alla base della parete e costeggiarla verso Est oltrepassando la Cresta delle postazioni, continuare per 100 m fino ad una panchina sotto ad uno strapiombo giallo. Attacco in comune con "Equilibrio sopra la follia", direttamente sul sentiero contraddistinto da 2 piccole sculture metalliche.

Descrizione:

L1: Prima parte in comune con Equilibrio poi spostamento a destra e risalita fino alla comoda cengia. 25 m V+.
L2: Bel muretto fino alla successiva comoda cengia. 25 m, VII-
L3: Si sale la placca nera verso destra, nel tratto chiave (cordino nero) attraversare a destra su tacchette fino ad una grossa presa, da li dei piccoli appigli permettono di vincere il muro compatto. 24 m VIII-
L4: Continuazione della placca nera sfruttando dei buchi sulla sinistra, sosta su albero da attrezzare. 22 m VII-
L5: Non seguire la cresta erbosa ma stare bassi per traccia fino alla sosta. A piedi per 50 m
L6: Tiro tortuoso, allungare i rinvii. Si superano una serie balze con prese stondate. 37 m VII-
L7: Si attraversa a destra fino ad una pianta e poi su dritti fino in sosta su roccia delicata. 45 m IV+
L8: Raggiungere la pianta e poi sullo spigolo più a destra (chiodi un po' nascosti), roccia molto bella e compatta ad eccezione dell'uscita in sosta. 30 m VII

Discesa: Percorrere il sentiero del Granatiere verso ovest in discesa fino al Rifugio Granatiere.


L8

L6

L3






lunedì 14 luglio 2025

Monte Cengio: Via Equilibrio sopra la follia (6a, 240 m, 5c obb.)

Zona: Monte Cengio
Sviluppo: 240 m, 7L
Esposizione: S
Tempo: 2 h
Difficoltà: 6a, 5c obb.
Discesa: a piedi
Materiale: singola, 10 rinvii, cordini
Protezioni: fix

Doppietta di vie nuove del 2025 della cordata Schiro-Girardi-Carollo assiema alla parallela "Piccole Mani". Come sempre la chiodatura e pulizia super meticolosa la rendono l'arrampicata facile e molto piacevole. Noi l'abbiamo salita un po' come ripiego dopo la pioggia e affrontato le prime 2 lunghezze completamente bagnate ma ne siamo rimasti soddisfatti.

Accesso: dal park del Rifugio Granatiere prendere il sentiero che conduce alla base della parete e costeggiarla verso Est oltrepassando la Cresta delle postazioni, continuare per 100 m fino ad una panchina sotto ad uno strapiombo giallo. Attacco in comune con Piccole Mani, direttamente sul sentiero contraddistinto da 2 piccole sculture metalliche.

Descrizione:

L1: Si parte in comune con Piccole mani e si mantiene poi la sinistra. Sosta anello + clessidra. 35 m V.
L2: Piccolo diedro con passaggio interessante. 6a 27 m
L3: Bel spigolo seguito da un caminetto. 6a 28 m
L4: Partenza a sinistra sullo spigolo poi balze. V 35 m
L5: A piedi per 40 m fino a sostare su una pianta.
L6: Bel pilastrino dapprima rotto poi su roccia bella. 5c 32 m
L7: A piedi per crestina erbosa fino al sentiero. Sosta su resinato. II 45 m

Discesa: Percorrere il sentiero del Granatiere verso ovest in discesa fino al Rifugio Granatiere.

L2

L3

L4



lunedì 7 luglio 2025

Val Orsera, Via Tuareg (6a+, 280 m, 5c obb.)

Zona: Val Caldenave (Lagorai)
Sviluppo: 280 m
Esposizione: NW
Quota: 2400 m
Tempo: 3 h
Esposizione: W
Difficoltà: 6a+, 5c obb.
Materiale: mezze corde,2-3 friend mp, cordini.
Discesa: a piedi
Apritori: M.Leorato, C.Confente, D.Dal Pozzolo, P.Schiavo

Via di arrampicata idealizzata dall'amico Alessio Conz, grande conoscitore del Lagorai con l'intento di superare la grande placca dorata fino a prendere il pilastro che porta fino in vetta. Iniziata nel 2021 con le prime 5 lunghezze aperte da M.Leorato con l'aiuto di D.Dal Pozzolo prima e P.Schiavo poi.  Terminata il 4 luglio 2025 assieme a C.Confente con il quale sono state salite in alternata le ultime 4 lunghezze fino alla cima. Sufficientemente protetta con fix, chiodi e cordoni, soste tutte comode, rientro a doppie possibile fino alla sesta lunghezza. Si alternano placche di aderenza e diedri fessurati molto belli su roccia sana, entusiasmante e con poco lichene, dove ogni tanto si può integrare con friend nei punti facili e in fessura, tuttavia non sono indispensabili. Sul tiro 5 si intercettano, durante l'attraversamento del canale roccioso, degli spit gialli che salgono dal basso che ipoteticamente possono essere della variante di uscita della via "Scivolo Peloso", indicata però sulla guida CAI TCI poco più in alto. Il nome "Tuareg" deriva dalla placconata delle prime 2 lunghezze che ricorda una duna pietrificata del Sahara ed è ispirato dai racconti dello scrittore-accademico Cino Boccazzi. Per godere a pieno del granito della valle è consigliabile pernottare all'ottimo Rifugio Caldenave e concatenare più salite in zona.

Avvicinamento: dal Rifugio Caldenave, raggiungibile in un ora dalla Val Campelle, si prende il sentiero E373A per forcella Orsera. Al termine del bosco si prosegue in falso piano (sorgente d'acqua e posto da bivacco) fino ad un ghiaione rosso nei pressi del nevaio basale di Punta Brunella dove il sentiero vira a sinistra in direzione della forcella. Abbandonare il sentiero superando o aggirando il nevaio e proseguire per roccette fino a dei piccoli larici sul margine destro della placconata. L'attacco è contraddistinto da un fix con cordone sulla verticale di una fessura ad L rovesciata. Più a sinistra attaccano le vie Supertrump, Vuoti di Memoria e Scivolo Peloso. 1 ora dal rifugio.

Descrizione:
L1: Per facili placche fino alla sosta su chiodo più golfaro. 3 protezioni. III 33 m. 
L2:  Placca di aderenza verso destra fino ad un punto dove si attraversa leggermente a destra. La sosta è poco sopra. 5 protezioni. Sosta chiodo più golfaro. 5a, 35 m
L3:  Tiro un po' erboso fino a prendere uno spigolo che porta ad una rampa che conduce alla sosta su fix. 4b, 5a se si sta sullo spigolo. 30 m
L4: Bellissimo diedro a dulfer. 1 friend nero consigliato in partenza. 5c, 35 m
L5:  Tiro tortuoso (allungare i rinvii). Si sale un po' per poi attraversa a destra il canale ignorando gli spit di una via sconosciuta (ipoteticamente una variante diretta di uscita dalla cengia di Scivolo Peloso) che salgono da quest'ultimo. Rimontare fino ad un piccolo pino con cordone e proseguire sul pilastro in breve fino alla sosta. 4a, 28 m
L6: Proseguire sul pilastro partendo dallo spigolo di destra e poi prendere una fessura ad arco si sale in direzione di un pino per rocce facili (chiodo un po' spostato a destra) fino a sostare. 6a+, 35 m
L7: Prendere il diedro fessurato a sinistra poi risalti facili fino a 2 diedri gemelli. Si esce su quello di sinistra (friend utile) fino a comodo terrazzo con libro di via. Da qui in poi risulta difficile scendere a doppie. 5c, 30 m 
L8:  Risalire il canale roccioso sul margine destro fino ad uscire su cengia a destra. 23 m. 5a, 23 m
L9:  Salire la paretina ammanigliata verticalmente fino a prendere la cresta che conduce alla trincea. Sosta su fix e sasso incastrato. 4c, 30 m

Discesa: Seguire la trincea in discesa fino a trovare il sentiero, questo con alcune corde fisse porta a Forcella Orsera. Da qui si scende il ghiaione (altre fisse) fino al punto di partenza. Un' ora e mezza totale fino al Rifugio.



2021: in apertura su L4



Verso l'attacco: l'obiettivo è il pilastro centrale

Dulfer in L4


Diedro Dulfer di L7


Ultima lunghezza

L8

L2

Tracciato fotografico



giovedì 3 luglio 2025

Il Plaisir non Esiste

Racconto apparso su Rock Book #2 di Arrampicata Verona APS - Settembre 2024, Per la presentazione della nuova Guida di Arrampicata "Val d'Adige Plaisir" edita da Idea Montagna.

Pareti inondate di sole

Il sole del tardo pomeriggio inondava le pareti rocciose della Val d'Adige in una caduta di luce calda e dorata. I riflessi del grande fiume brillavano come un serpente d'argento, incastonati tra le ripide pareti che dagli anni ‘80 avevano attirato alpinisti e arrampicatori da ogni dove. Lì le maestose pareti del Monte Cimo e la Chiusa di Ceraino erano diventate un terreno di gioco per i più esperti, che, come allenamento alle ben più ambite pareti Dolomitiche, cercavano la sfida e l'adrenalina su vie che cavalcavano scrigni d’argento sempre più inaccessibili. Eppure, già c'era qualcosa di più nascosto e meno esplorato, qualcosa che avrebbe cambiato la percezione dell'arrampicata in questa valle…

"Il plaisir qui non esiste" ripeteva il giovane apprendista ogni volta che cercava una via alla sua
portata tra le pubblicazioni cartacee circolanti nelle prime due decadi dei 2000. Una via dove
potersi allenare usando protezioni veloci e senza stress di spittature artigianali in S3 o avventurosi avvicinamenti più da cinghiali che da umani.

La prima guida di un'apprendista

Così iniziò la loro avventura. Ogni fine settimana le genti venute dall’est, armate di corde, chiodi, cesoie, e macchina fotografica, e un insaziabile desiderio di scoprire e ri-scoprire, esploravano queste pareti tracciando sentieri, aprendo nuove vie, ripulendone di vecchie per poter offrire anche ad altri la gioia dell'arrampicata senza sfide estreme. Lungo il cammino, si aggregarono altri appassionati e insieme ampliarono un terreno di gioco inedito, quasi vergine, in parte ancora da esplorare.

In poco tempo, su chat e portali, iniziarono a circolare svariati schizzi fatti a mano di percorsi nuovi, con nomi curiosi e gradi stuzzicanti. Ne venne fuori una miriade di fogli svolazzanti e quindi la necessità di sistemare il tutto, di dargli ordine e chiarezza: nacque così “V per Valdadige”, la prima raccolta, in formato digitale, di quelle vie.

Relazioni su "carta da formajo"

In poco tempo molte revisioni della guida, con la costante aggiunta di novità ad ogni stagione, accentuarono la frequentazione delle vie rendendole conosciute in tutto il Centro-Nord Italia e anche oltre. Tutto questo è continuato in equilibrio e collaborazione tra chiodatori e passione dedicata alla continua e costante opera di raccolta informazioni ed impaginazione grafica fino a quando un famoso Editore, con l’ufficio all’ombra di Rocca Pendice, nel Padovano bussa alla porta delle genti dell’est: “Perché non mettere il tutto su carta stampata? Molti, leggendo le relazioni, vogliono ancora provare il piacere della carta patinata sotto i polpastrelli”.

La raccolta viene così ampliata ed integrata in una stagione di intense ripetizioni e concatenamenti con in una mano carta e penna e nell’altra cesoia e seghetto: questo per conoscere ancora più a fondo le vie che ancora mancano nel palmares delle ripetizioni.

Creazione e manutenzione

Dall’inizio di quest'avventura, svoltasi in una decina di anni, il Monte Cordespino, tra il Cimo e la grande pianura, oggi è diventato un paradiso per gli arrampicatori che cercano un'alternativa più vicina di Arco ma anche il piacere semplice e puro dell'arrampicata. Decine di vie di bassa e media difficoltà hanno preso forma, diventando ben frequentate dai corsi CAI e dalle Guide Alpine. Quelle pareti, un tempo quasi ignorate, sono diventate un rifugio per chi vuole godersi un piccolo angolo di montagna, erosa dai ghiacci e dalle piogge, catapultato nel fondovalle, a pochi metri dal cacofonico ronzio della A22.

“Il plaisir non esiste”, aveva detto quel primo giorno l’apprendista, ma in realtà, lo aveva trovato, e poi condiviso, con il mondo. La guida Val d'Adige Plaisir allora non è solo uno sterile elenco di vie messe in ordine da sud a nord con un tetto di difficoltà massima, ma una celebrazione della bellezza nascosta e della gioia dell'esplorazione. Un invito a guardare oltre alle sfide e a scoprire la serenità e il piacere dell'arrampicata sulle pareti meno conosciute della Val d'Adige.

Un successo non atteso


Così, ogni volta che un nuovo arrampicatore aprirà la guida e sceglierà una via, riscoprirà quella stessa magia che gli autori e i loro compagni avevano trovato. E, mentre le dita scorreranno sul fine calcare mentre il sole tramonta dietro il Lago di Garda, capiranno che il plaisir non solo esiste, ma è lì, in ogni movimento, in ogni respiro, in ogni libro di via firmato.

Manuel Leorato

L'alpinismo come volontà e rappresentazione

Quando ho iniziato a scalare, per la prima volta su quella placconata assolata nella Valle della Luce stavo iniziando a percorrere un sentiero interiore tracciato da uno dei filosofi più complessi e affascinanti del XIX secolo: Arthur Schopenhauer. Non è stato lui certo a darmi la spinta per farmi prendere in mano le scarpette, ma è stato lui a fornirmi gli strumenti per comprendere perché, a distanza di molti anni, non riuscivo mai a fermarmi, neanche dopo la cima più alta raggiunta o la via più impegnativa scalata. E questo perchè? Perchè ogni discesa conteneva sempre già in sé l'inerzia e la spinta verso una nuova salita.La volontà di cui parla Schopenhauer è una forza bruciante, cieca ed istintiva, che muove tutto: l'uomo, gli animali, gli alberi, perfino la materia inanimata: le pietre che cadono. È desiderio, fame, spinta. Non ha uno scopo razionale: vuole solo continuare a “volere”. Nel mio piccolo, quando inseguivo numeri, nomi e ripetizioni, ero completamente immerso in questa volontà. Non c'era cima che bastasse. Appena raggiunta, ne compariva un'altra nella mia mente, più difficile, più "vergine", più mia. Ma il filosofo ci avverte: questa fame infinita non porta alla felicità, ma alla sofferenza. Perché desiderare significa essere sempre, in qualche misura, mancanti. E quante volte io stesso ho pensato: "perché non basta mai?" Per fortuna personalmente oggi per me scalare piccole o grandi pareti che siano, di fondovalle o di alta montagna, non lo vivo più come una sfida o la caccia ad un numero. È diventato uno specchio, in cui osservo cosa mi muove davvero.

La vita oscilla fra dolore e desiderio

Negli anni quanti amici ho visto stancarsi, disilludersi, perfino fuggire dalla montagna dopo anni di passione bruciante. In fondo, è la stessa differenza che tracciava Bruno Detassis tra le due anime di chi va in montagna: il crodaiolo vive per la difficoltà, per il gesto tecnico, per la sfida nuda. Ma spesso, proprio per questo, se ne allontana col tempo. L'alpinista, invece, è mosso da una passione che guarda alla cima, alla linea, alla bellezza degli avvicinamenti, e anche se più semplice, ne rimarrà fedele sempre. "Io andrò in montagna finché le gambe mi porteranno." diceva il Custode del Brenta. Eppure, in montagna c'è qualcosa di più. Qualcosa che, proprio il pensatore tedesco, riconosceva come unica tregua dalla morsa del desiderio: l’arte, la musica e la meditazione. O meglio: la contemplazione estetica. Quindi non è una via, l’opera d’arte, come uso comune scrivere nel nostro "settore", ma è l’emozione del raggiungimento della cima, le nuvole sotto di essa, il momento silenzioso al termine di una scalata, che identifica e completa il raggiungimento del nostro obiettivo. Lì, al termine di uno spigolo aereo, con il vuoto alle spalle e le nuvole che si aprono sopra alle Pale, si può sentire, per un istante, l’assenza del volere. Non desiderare più nulla. Non voler arrivare, non dimostrare. Solo essere, guardare, respirare ed essere parte del tutto.

La montagna osservata come un attimo puro, senza volontà.

Qui entra in gioco una riflessione cruciale. In arrampicata esistono due archetipi di “via”: la via per se stessi: protezioni assenti, nessuna traccia, pietre in bilico, rischio alto. La via per gli altri: ripulita dal primo salitore o dalle ripetizioni, con soste sicure e protezioni nei punti giusti: affrontabile da chiunque abbia esperienza a discernere dallo stile, sportivo o alpinistico che sia. Secondo l’etica di Schopenhauer, la prima è ancora espressione della volontà. Vuoi salire, vuoi essere primo, vuoi distinguerti. Anche se cammini sul filo del rasoio, lo fai per il tuo Io. La seconda invece, può diventare un atto morale: se apri una via per permettere ad altri di viverla con fiducia, se metti protezioni buone pensando non a quanto sei bravo nel posizionare volontariamente più lontano possibile, ma a quanto può essere bello e sicuro per altri... allora stai negando l’egoismo. E Schopenhauer questo lo chiama compassione; l’etica è compassione.

Chi pianta un chiodo per un altro che non conosce, ha già negato la supremazia del proprio ego.

Prendiamo una via immaginaria: la Clessidronomo sul Sarcofago d’Argento. È una via relativamente recente, fine anni ‘90, ma già classica per le ripetizioni,  elegante. Quello che colpisce è la generosità con cui è stata idealizzata: protezioni nei punti giusti, senza esagerare, lasciando la possibilità di integrare. Soste ben piazzate, difficoltà non banali ma nemmeno estreme. È una via che "accoglie", non che respinge. Chi l’ha tracciata non cercava il grado più alto, ma la bellezza e la possibilità di condividerla.

In una via pensata per gli altri: la bellezza e la sicurezza si incontrano.

Da queste riflessioni nasce un pensiero che condivido con ogni chiodatore, ogni apritore, ogni amante delle linee pulite e curate: la vera via è quella che può essere percorsa anche da chi viene dopo. Non aprire per la gloria, ma per amore della linea e del prossimo. Ogni protezione è un gesto morale. Rispetto per la roccia, non piegarla al proprio ego. Non confondere il rischio con l’etica e lasciare qualcosa che duri, non solo tra le fessure della roccia ma nella mente di chi salirà.

Non ogni traccia porta a una cima, ma alcune portano a se stessi.

Schopenhauer non era un alpinista, ma credo che avrebbe capito profondamente la tensione interiore dell’arrampicatore. Anzi, credo che la lettura schopenhaueriana completi una visione già intuita in tempi più recenti da Reinhold Messner: quella dell'alpinista come Sisifo moderno, condannato a salire ancora e ancora, pur sapendo che la cima è effimera. Nel suo pensiero l’avventura è specialmente dolore e ci ricorda che la montagna è più fatica che esito, più volontà che appagamento. L’alpinista, come il pensatore, è colui che affronta la fatica sapendo che il desiderio non si spegnerà mai, e che proprio in questa lucida consapevolezza sta il suo valore umano. Se l’uomo cerca di liberarsi dal dolore, il desiderio della montagna può essere insieme specchio e sentiero. Si può scalare per ego, e cadere nel ciclo eterno del volere, oppure si può scalare per comprendere, per essere presenti, per accompagnare gli altri. Aprire una via per il prossimo, ben protetta, generosa, è già per se una negazione dell’io. Un piccolo passo fuori dalla volontà e quindi, forse, verso la vera libertà.

Manuel Leorato

lunedì 23 giugno 2025

Carè Alto, Via Cerana (500 m, III)

Zona: Adamello
Sviluppo: 500  m
Dislivello totale: 2200 m
Esposizione: E
Tempo: 8/12 h
Difficoltà: III su roccia
Discesa: doppia e a piedi 
Materiale: friend m.p. 4 rinvii, 1 mezza.

Stupenda ascensione su una vetta estetica e molto amata, tecnicamente non difficile ma con discesa molto lunga. Arrampicata divertente su tonalite molto generosa di fessure e spuntoni. I panorami sul gruppo dell'Adamello, del Brenta e della sottostante amena val di Fumo sono impagabili. Primi salitori Jakob e Keller nell'estate 1913, numerose le testimonianze del primo conflitto mondiale. 

Accesso
Al Rifugio Carè alto dalla Val Borzago, Pian della Sega, attraverso il sentiero 213 sono circa 2 ore e 1100 m d+ con buon passo.
Dal rifugio seguire le tracce a lato della cresta che continua fino alla Bocchetta del Cannone, rimontare sulla neve a destra della gobba della vedretta di conca in direzione di una torre evidente. La si lascia sulla destra fino a rinvenire i bolli che indicano l'attacco sullo zoccolo posto sotto alla paretina. 2 ore, 750 m d+.

Descrizione
Si supera lo zoccolo diagonalmente destra-sinistra fino ad una sosta su 2 chiodi. Da li con un tiro di poco più di 30 m per belle lame si sosta su spuntone. La cresta diviene poi facile e si arrampica su blocchi a corda corta quasi sempre sul lato nord seguendo i bolli fino alla gobba d'asino oltre la quale si trova una sosta. Poco oltre la cresta diventa nevosa e si prosegue sul filo e con un paio di rampette oltrepassando la ruota dell'ex teleferica e raggiungendo la normale poco sotto la cima.

Discesa 
Per la nomale. Si segue la cresta nevosa in discesa fino a rinvenire degli spit in prossimità di una sella per la calata di 30 m fino al termine della parte ripida della pala nevosa. Non abbiamo seguito le frecce rosse per aggirare il bunker lato val di Fumo. Si attraversa il ghiacciaio fino al Sass de la Stria e da li per rocce montonate e radi ometti si raggiunge il sentiero 215, che con un ponte di corde prima e le scalette del Bus del Gat poi conducono al Rifugio. In caso di assenza del ponte di corde è possibile guadare in prossimità dell'emissario del laghetto glaciale. 2 ore da sommare all'altra ora e mezza fino alla macchina.



La paretina



Gobba d'asino

La cima e la teleferica


Tratto finale della cima

La discesa

Stambecchi del Carè Alto


domenica 15 giugno 2025

Guglia Negrin: Via Soldà (VI+ , 150 m, V obb.)

Zona: Campogrosso
Sviluppo: 150 m 
Esposizione: E
Tempo: 3 h 
Difficoltà: IV-V, (VI+ l'originale Soldà)
Discesa: 1 doppia 
Materiale: nda; friend medi, cordini


Classica del 1933 di Gino Soldà, riattrezzata a resinati: linea verticale in stile dolomitico, con due passaggi tecnici su placca e fessura, il resto su roccia gialla ben articolata. Molto consigliabile la variante di uscita Spanevello (fix siliconati). L'ambiente è appartato di fronte al Dito di Dio e all'impressionante Punta Sibele; la roccia è mediamente ripulita dalle ripetizioni, offre una salita appagante, di soddisfazione e non molto frequentata.
 
Accesso
Dal Rif. Campogrosso (1.445 m) seguire il sentiero per il Boale dei Fondi, quindi la deviazione per il Fumante fin sotto la Guglia GEI. Alla galleria piegare a sinistra su traccia esile fin sotto la “gemella” Negrin; attacco sotto il centro della parete, segnato da una S rossa e un anello resinato (40 min).

Descrizione
L1 Obliquo a destra su placca grigia liscia (III+ poi V, A0 possibile) fino a cengetta di sosta. 25 m.
L2 Fessura con lame, quindi parete gialla verticale; traverso a sinistra sotto il tetto a mezzaluna, foro e uscita in sosta. 45 m, IV.
L3 (Originale Soldà) Traverso delicato a destra sul bordo del tetto (V), poi fessura strapiombante e uscita a sinistra sullo spigolo (VI–VI+). 55 m.
L3 Opzione più facile: variante Spanevello (consigliata) sullo spigolo sinistro (III, 25 m).
L4 Ultime roccette sul filo dello spigolo fino alla vetta. 25 m, III.
 
Discesa
Calata singola di 35 m in leggera diagonale verso la forcella tra la Guglia Piccola e la Guglia Negrin, tratto di disarrampicata delicata, quindi scendere il Giaron della Scala fin sotto la parete della GEI (galleria) quindi a ritroso fino al rifugio.