giovedì 3 luglio 2025

Il Plaisir non Esiste

Racconto apparso su Rock Book #2 di Arrampicata Verona APS - Settembre 2024, Per la presentazione della nuova Guida di Arrampicata "Val d'Adige Plaisir" edita da Idea Montagna.

Pareti inondate di sole

Il sole del tardo pomeriggio inondava le pareti rocciose della Val d'Adige in una caduta di luce calda e dorata. I riflessi del grande fiume brillavano come un serpente d'argento, incastonati tra le ripide pareti che dagli anni ‘80 avevano attirato alpinisti e arrampicatori da ogni dove. Lì le maestose pareti del Monte Cimo e la Chiusa di Ceraino erano diventate un terreno di gioco per i più esperti, che, come allenamento alle ben più ambite pareti Dolomitiche, cercavano la sfida e l'adrenalina su vie che cavalcavano scrigni d’argento sempre più inaccessibili. Eppure, già c'era qualcosa di più nascosto e meno esplorato, qualcosa che avrebbe cambiato la percezione dell'arrampicata in questa valle…

"Il plaisir qui non esiste" ripeteva il giovane apprendista ogni volta che cercava una via alla sua
portata tra le pubblicazioni cartacee circolanti nelle prime due decadi dei 2000. Una via dove
potersi allenare usando protezioni veloci e senza stress di spittature artigianali in S3 o avventurosi avvicinamenti più da cinghiali che da umani.

La prima guida di un apprendista

Così iniziò la loro avventura. Ogni fine settimana le genti venute dall’est, armate di corde, chiodi, cesoie, e macchina fotografica, e un insaziabile desiderio di scoprire e ri-scoprire, esploravano queste pareti tracciando sentieri, aprendo nuove vie, ripulendone di vecchie per poter offrire anche ad altri la gioia dell'arrampicata senza sfide estreme. Lungo il cammino, si aggregarono altri appassionati e insieme ampliarono un terreno di gioco inedito, quasi vergine, in parte ancora da esplorare.

In poco tempo, su chat e portali, iniziarono a circolare svariati schizzi fatti a mano di percorsi nuovi, con nomi curiosi e gradi stuzzicanti. Ne venne fuori una miriade di fogli svolazzanti e quindi la necessità di sistemare il tutto, di dargli ordine e chiarezza: nacque così “V per Valdadige”, la prima raccolta, in formato digitale, di quelle vie.

Carta da formaggio

In poco tempo molte revisioni della guida, con la costante aggiunta di novità ad ogni stagione, accentuarono la frequentazione delle vie rendendole conosciute in tutto il Centro-Nord Italia e anche oltre. Tutto questo è continuato in equilibrio e collaborazione tra chiodatori e passione dedicata alla continua e costante opera di raccolta informazioni ed impaginazione grafica fino a quando un famoso Editore, con l’ufficio all’ombra di Rocca Pendice, nel Padovano bussa alla porta delle genti dell’est: “Perché non mettere il tutto su carta stampata? Molti, leggendo le relazioni, vogliono ancora provare il piacere della carta patinata sotto i polpastrelli”.

La raccolta viene così ampliata ed integrata in una stagione di intense ripetizioni e concatenamenti con in una mano carta e penna e nell’altra cesoia e seghetto: questo per conoscere ancora più a fondo le vie che ancora mancano nel palmares delle ripetizioni.

Creazione e manutenzione

Dall’inizio di quest'avventura, svoltasi in una decina di anni, il Monte Cordespino, tra il Cimo e la grande pianura, oggi è diventato un paradiso per gli arrampicatori che cercano un'alternativa più vicina di Arco ma anche il piacere semplice e puro dell'arrampicata. Decine di vie di bassa e media difficoltà hanno preso forma, diventando ben frequentate dai corsi CAI e dalle Guide Alpine. Quelle pareti, un tempo quasi ignorate, sono diventate un rifugio per chi vuole godersi un piccolo angolo di montagna, erosa dai ghiacci e dalle piogge, catapultato nel fondovalle, a pochi metri dal cacofonico ronzio della A22.

“Il plaisir non esiste”, aveva detto quel primo giorno l’apprendista, ma in realtà, lo aveva trovato, e poi condiviso, con il mondo. La guida Val d'Adige Plaisir allora non è solo uno sterile elenco di vie messe in ordine da sud a nord con un tetto di difficoltà massima, ma una celebrazione della bellezza nascosta e della gioia dell'esplorazione. Un invito a guardare oltre alle sfide e a scoprire la serenità e il piacere dell'arrampicata sulle pareti meno conosciute della Val d'Adige.

Un successo non atteso


Così, ogni volta che un nuovo arrampicatore aprirà la guida e sceglierà una via, riscoprirà quella stessa magia che gli autori e i loro compagni avevano trovato. E, mentre le dita scorreranno sul fine calcare mentre il sole tramonta dietro il Lago di Garda, capiranno che il plaisir non solo esiste, ma è lì, in ogni movimento, in ogni respiro, in ogni libro di via firmato.

Manuel Leorato

L'alpinismo come volontà e rappresentazione

Quando ho iniziato a scalare, per la prima volta su quella placconata assolata nella Valle della Luce stavo iniziando a percorrere un sentiero interiore tracciato da uno dei filosofi più complessi e affascinanti del XIX secolo: Arthur Schopenhauer. Non è stato lui certo a darmi la spinta per farmi prendere in mano le scarpette, ma è stato lui a fornirmi gli strumenti per comprendere perché, a distanza di molti anni, non riuscivo mai a fermarmi, neanche dopo la cima più alta raggiunta o la via più impegnativa scalata. E questo perchè? Perchè ogni discesa conteneva sempre già in sé l'inerzia e la spinta verso una nuova salita.La volontà di cui parla Schopenhauer è una forza bruciante, cieca ed istintiva, che muove tutto: l'uomo, gli animali, gli alberi, perfino la materia inanimata: le pietre che cadono. È desiderio, fame, spinta. Non ha uno scopo razionale: vuole solo continuare a “volere”. Nel mio piccolo, quando inseguivo numeri, nomi e ripetizioni, ero completamente immerso in questa volontà. Non c'era cima che bastasse. Appena raggiunta, ne compariva un'altra nella mia mente, più difficile, più "vergine", più mia. Ma il filosofo ci avverte: questa fame infinita non porta alla felicità, ma alla sofferenza. Perché desiderare significa essere sempre, in qualche misura, mancanti. E quante volte io stesso ho pensato: "perché non basta mai?" Per fortuna personalmente oggi per me scalare piccole o grandi pareti che siano, di fondovalle o di alta montagna, non lo vivo più come una sfida o la caccia ad un numero. È diventato uno specchio, in cui osservo cosa mi muove davvero.

La vita oscilla fra dolore e desiderio

Negli anni quanti amici ho visto stancarsi, disilludersi, perfino fuggire dalla montagna dopo anni di passione bruciante. In fondo, è la stessa differenza che tracciava Bruno Detassis tra le due anime di chi va in montagna: il crodaiolo vive per la difficoltà, per il gesto tecnico, per la sfida nuda. Ma spesso, proprio per questo, se ne allontana col tempo. L'alpinista, invece, è mosso da una passione che guarda alla cima, alla linea, alla bellezza del cammino, anche se più semplice e ne rimarrò fedele. "Io andrò in montagna finché le gambe mi porteranno." diceva il Custode del Brenta. Eppure, in montagna c'è qualcosa di più. Qualcosa che, proprio il pensatore tedesco, riconosceva come unica tregua dalla morsa del desiderio: l’arte, la musica e la meditazione. O meglio: la contemplazione estetica. Quindi non è una via l’opera d’arte come uso comune scrivere nel nostro "settore", ma è l’emozione del raggiungimento della vetta, le nuvole sotto di essa, il momento silenzioso al termine di una scalata, che identifica e completa il raggiungimento del nostro obiettivo. Lì, al termine di uno spigolo aereo, con il vuoto alle spalle e le nuvole che si aprono sopra alle Pale, si può sentire, per un istante, l’assenza del volere. Non desidare più nulla. Non voler arrivare, non dimostrare. Solo essere, guardare, respirare ed essere parte del tutto.

La montagna osservata come un attimo puro, senza volontà.

Qui entra in gioco una riflessione cruciale. In arrampicata esistono due archetipi di “via”: la via per se stessi: protezioni assenti, nessuna traccia, pietre in bilico, rischio alto. La via per gli altri: ripulita dal primo salitore o dalle ripetizioni, con soste sicure e protezioni nei punti giusti: affrontabile da chiunque abbia esperienza a discernere dallo stile, sportivo o alpinistico che sia. Secondo l’etica di Schopenhauer, la prima è ancora espressione della volontà. Vuoi salire, vuoi essere primo, vuoi distinguerti. Anche se cammini sul filo del rasoio, lo fai per il tuo Io. La seconda invece, può diventare un atto morale. Se apri una via per permettere ad altri di viverla con fiducia, se metti protezioni buone pensando non a quanto sei bravo nel posizionare volontariamente più lontano possibile, ma a quanto può essere bello e sicuro per altri... allora stai negando l’egoismo. E Schopenhauer questo lo chiama compassione; l’etica è compassione.

Chi pianta un chiodo per un altro che non conosce, ha già negato la supremazia del proprio ego.

Prendiamo una via immaginaria: la Clessidronomo sul Sarcofago d’Argento. È una via relativamente recente, fine anni ‘90, ma già classica per le ripetizioni,  elegante. Quello che colpisce è la generosità con cui è stata idealizzata: protezioni nei punti giusti, senza esagerare, lasciando la possibilità di integrare. Soste ben piazzate, difficoltà non banali ma nemmeno estreme. È una via che "accoglie", non che respinge. Chi l’ha tracciata non cercava il grado più alto, ma la bellezza e la possibilità di condividerla.

In una via pensata per gli altri: la bellezza e la sicurezza si incontrano.

Da queste riflessioni nasce un pensiero che condivido con ogni chiodatore, ogni apritore, ogni amante delle linee pulite e curate: la vera via è quella che può essere percorsa anche da chi viene dopo. Non aprire per la gloria, ma per amore della linea e del prossimo. Ogni protezione è un gesto morale. Rispetto per la roccia, non piegarla al proprio ego. Non confondere il rischio con l’etica e lasciare qualcosa che duri, non solo tra le fessure della roccia ma nella mente di chi salirà.

Non ogni traccia porta a una cima, ma alcune portano a se stessi.

Schopenhauer non era un alpinista, ma credo che avrebbe capito profondamente la tensione interiore dell’arrampicatore. Anzi, credo che la lettura schopenhaueriana completi una visione già intuita in tempi più recenti da Reinhold Messner: quella dell'alpinista come Sisifo moderno, condannato a salire ancora e ancora, pur sapendo che la cima è effimera. Nel suo pensiero l’avventura è specialmente dolore e ci ricorda che la montagna è più fatica che esito, più volontà che appagamento. L’alpinista, come il pensatore, è colui che affronta la fatica sapendo che il desiderio non si spegnerà mai, e che proprio in questa lucida consapevolezza sta il suo valore umano. Se l’uomo cerca di liberarsi dal dolore, il desiderio della montagna può essere insieme specchio e sentiero. Si può scalare per ego, e cadere nel ciclo eterno del volere, oppure si può scalare per comprendere, per essere presenti, per accompagnare gli altri. Aprire una via per il prossimo, ben protetta, generosa, è già per se una negazione dell’io. Un piccolo passo fuori dalla volontà e quindi, forse, verso la vera libertà.

Manuel Leorato

lunedì 23 giugno 2025

Carè Alto, Via Cerana (500 m, III)

Zona: Adamello
Sviluppo: 500  m
Dislivello totale: 2200 m
Esposizione: E
Tempo: 8/12 h
Difficoltà: III su roccia
Discesa: doppia e a piedi 
Materiale: friend m.p. 4 rinvii, 1 mezza.

Stupenda ascensione su una vetta estetica e molto amata, tecnicamente non difficile ma con discesa molto lunga. Arrampicata divertente su tonalite molto generosa di fessure e spuntoni. I panorami sul gruppo dell'Adamello, del Brenta e della sottostante amena val di Fumo sono impagabili. Primi salitori Jakob e Keller nell'estate 1913, numerose le testimonianze del primo conflitto mondiale. 

Accesso
Al Rifugio Carè alto dalla Val Borzago, Pian della Sega, attraverso il sentiero 213 sono circa 2 ore e 1100 m d+ con buon passo.
Dal rifugio seguire le tracce a lato della cresta che continua fino alla Bocchetta del Cannone, rimontare sulla neve a destra della gobba della vedretta di conca in direzione di una torre evidente. La si lascia sulla destra fino a rinvenire i bolli che indicano l'attacco sullo zoccolo posto sotto alla paretina. 2 ore, 750 m d+.

Descrizione
Si supera lo zoccolo diagonalmente destra-sinistra fino ad una sosta su 2 chiodi. Da li con un tiro di poco più di 30 m per belle lame si sosta su spuntone. La cresta diviene poi facile e si arrampica su blocchi a corda corta quasi sempre sul lato nord seguendo i bolli fino alla gobba d'asino oltre la quale si trova una sosta. Poco oltre la cresta diventa nevosa e si prosegue sul filo e con un paio di rampette oltrepassando la ruota dell'ex teleferica e raggiungendo la normale poco sotto la cima.

Discesa 
Per la nomale. Si segue la cresta nevosa in discesa fino a rinvenire degli spit in prossimità di una sella per la calata di 30 m fino al termine della parte ripida della pala nevosa. Non abbiamo seguito le frecce rosse per aggirare il bunker lato val di Fumo. Si attraversa il ghiacciaio fino al Sass de la Stria e da li per rocce montonate e radi ometti si raggiunge il sentiero 215, che con un ponte di corde prima e le scalette del Bus del Gat poi conducono al Rifugio. In caso di assenza del ponte di corde è possibile guadare in prossimità dell'emissario del laghetto glaciale. 2 ore da sommare all'altra ora e mezza fino alla macchina.



La paretina



Gobba d'asino

La cima e la teleferica


Tratto finale della cima

La discesa

Stambecchi del Carè Alto


domenica 15 giugno 2025

Guglia Negrin: Via Soldà (VI+ , 150 m, V obb.)

Zona: Campogrosso
Sviluppo: 150 m 
Esposizione: E
Tempo: 3 h 
Difficoltà: IV-V, (VI+ l'originale Soldà)
Discesa: 1 doppia 
Materiale: nda; friend medi, cordini


Classica del 1933 di Gino Soldà, riattrezzata a resinati: linea verticale in stile dolomitico, con due passaggi tecnici su placca e fessura, il resto su roccia gialla ben articolata. Molto consigliabile la variante di uscita Spanevello (fix siliconati). L'ambiente è appartato di fronte al Dito di Dio e all'impressionante Punta Sibele; la roccia è mediamente ripulita dalle ripetizioni, offre una salita appagante, di soddisfazione e non molto frequentata.
 
Accesso
Dal Rif. Campogrosso (1.445 m) seguire il sentiero per il Boale dei Fondi, quindi la deviazione per il Fumante fin sotto la Guglia GEI. Alla galleria piegare a sinistra su traccia esile fin sotto la “gemella” Negrin; attacco sotto il centro della parete, segnato da una S rossa e un anello resinato (40 min).

Descrizione
L1 Obliquo a destra su placca grigia liscia (III+ poi V, A0 possibile) fino a cengetta di sosta. 25 m.
L2 Fessura con lame, quindi parete gialla verticale; traverso a sinistra sotto il tetto a mezzaluna, foro e uscita in sosta. 45 m, IV.
L3 (Originale Soldà) Traverso delicato a destra sul bordo del tetto (V), poi fessura strapiombante e uscita a sinistra sullo spigolo (VI–VI+). 55 m.
L3 Opzione più facile: variante Spanevello (consigliata) sullo spigolo sinistro (III, 25 m).
L4 Ultime roccette sul filo dello spigolo fino alla vetta. 25 m, III.
 
Discesa
Calata singola di 35 m in leggera diagonale verso la forcella tra la Guglia Piccola e la Guglia Negrin, tratto di disarrampicata delicata, quindi scendere il Giaron della Scala fin sotto la parete della GEI (galleria) quindi a ritroso fino al rifugio.







lunedì 9 giugno 2025

Corno d'Aquilio, Via Cotechino e Pearà (VIII, 165 m, VI+ obb.)

Zona: Lessinia
Sviluppo: 165  m
Esposizione: NW
Tempo: 3 h
Difficoltà: VIII R2 (VI+ obb)
Discesa: a piedi
Materiale: nda, doppiare i friend grandi
Relazione seguita

Nuova via di arrampicata inaugurata il 1° maggio 2025 da Ceriani, Garavaglia, Taghipour e Polidori: ambiente selvaggio e decisamente di montagna, quota 1500 m tra i larici, con il castello di Sabbionara proprio di fronte anche se, a sensazione, pare di scalare in Valdadige. Via completamente trad, fatta eccezione per le ottime soste a fix con anello. Proteggibilissima con friend medi e grandi; nei passaggi impegnativi si può sempre “azzerare” sugli stessi. Calata possibile lungo i tiri ad eccezione dell'ultimo. Abbiamo avuto l’onore di firmarne la prima ripetizione: fessure e roccia prese singolarmente sono entusiasmanti, ma le cenge alla fine di ogni tiro spezzano un po’ la continuità. Va sottolineato che il tracciato non è stato ripulito dalle toppe d’erba per appigli ed appoggi, quindi è sconsigliata a chi ha il palato troppo raffinato. 
La via interseca, alla terza sosta, la famosa e poco conosciuta Cengia del Corno Bettio-Tedeschi, una vera "via" orizzontale che proprio da questo pilastro comincia e termina oltre il Passo della Morte più a nord.

Accesso: Dal grande parcheggio "Tommasi 2" posto poco prima dell'agriturismo Le Coste (S. Anna d'Alfaedo) si prende il sentiero CAI 234 per il Corno d'Aquilio, seguirlo in falsopiano ignorando i vari bivi. Quando questo diventa ripido e a tornanti continuare in salita fin poco prima del sesto tornante contraddistinto da un muretto a secco, nei pressi di una evidente barriera rocciosa. Da qui prendere una traccia sotto parete sulla sinistra e seguirla per 350 m fin sulla verticale del pilastro, un chiodo evidente identifica l'attacco (GPS: 45°41'6.220"N, 10°56'49.901"E). 1 ora circa.

Descrizione: 
L1. Muretto iniziale con chiodo, poi seguire una larga spaccatura (cordone) che conduce alla cengia ripida con Larice abbattuto. 45 m. V-/IV+.
L2. Prima fessura che si abbandona subito per prenderne un altra sulla destra (cordone)  2 passi impegnativi in partenza e poi su fino alla seconda cengia erbosa. 35 m. VI+ (p. VIII).
L3. Salire delle fessure stondate a cui segue una rampa inclinata dietro lo spigolo, uscita su cengia nettamente verso destra. 35 m. VI.
L4. Bella fessura ad arco, passo di aderenza (VII) segue terreno delicato fino alla base del camino. 35 m. VII/VI.
L5. Qui la roccia cambia rispetto ai tiri precedenti e diventa meno intuibile. Salire interamente il camino fino al bosco sommitale (nostra variante, altrimenti da relazione buttarsi sulla placca a destra). 25 m. VI+.

Discesa: traversare a destra faccia a monte mantenendo la quota fino a raggiungere in breve il sentiero 234 che si segue a ritroso fino alla macchina. 1 ora 15.

L2

La traccia di accesso dal sentiero

Si cammina sotto parete fino al pilastro



Uscita di L3

L4

L5 variante in camino

Uscita di L5


Guglia GEI: Via Renata (VI, 135 m, V+ obb.)

Zona: Campogrosso
Sviluppo: 135 m
Esposizione: NE
Tempo: 2-3 h
Difficoltà: IV/V+. 1 passo di VI
Discesa: in doppia
Materiale: nda


Via aperta nel 1993 dal compianto Franco Spanevello, guida di lunga esperienza che ha lasciato il segno in Piccole. Più continua della vicina Diretta, concentra però le vere difficoltà in due brevi passi di placca. Protezioni e soste a fix siliconati, marchio di fabbrica di Franco, con cui negli anni ’90 e 2000 rilanciò l’intero settore del Fumate, poi segnato dai crolli del piazzale SUCAI. Ogni via munita di questi fix porta la sua firma e garantisce una chiodatura impeccabile. La Renata presenta roccia compatta, ripulita dalle ripetizioni, per un’arrampicata scorrevole e piacevole.

A via finita, dopo la doppia da 25 m, conviene proseguire sulla parete nord della Guglia Negrin con un ulteriore, splendido tiro; dopo la calata sul versante opposto potete scegliere se salire la Guglia Piccola (roccia meno ripulita) o la Guglia Schio, più a destra sul Giaròn della Scala  (maggior sviluppo), completando così una classica cavalcata dolomitica davvero appagante.


AccessoDal Rifugio di Campogrosso si segue il sentiero N°7 fino al bivio della Sella del Rotolon, si prende il sentiero 6 fra mughi e trincee di guerra fino alla base della guglia GEI. La nostra via è la prima destra di fronte alla guglia del Milite. L'attacco è a qualche decina di metri prima di una galleria in corrispondenza di una bella placca a sinistra dell'attacco della via Diretta. (40/50 minuti)

Descrizione:
L1 Placca verticale ben protetta (numerosi spit), poi in diagonale verso sinistra su terreno via via più facile. Sosta su grosso mugo di sosta. 40 m, V.
L2 In verticale su prese solide (IV) fino ad un golfaro segue breve tratto erboso, quindi la placca-chiave che porta al terrazzino di sosta. 25 m, VI.
L3 Si sale in diagonale a sinistra su roccia più facile fino al piccolo terrazzino di sosta. 25 m, V-.
L4 Si rimonta un gradone e poi delle placche fessurate fino al pulpito da dove partono le 3 varianti di uscita. 20 m, IV+.
L5 Uscita dritti per piccolo strapiombo ben protetto a chiodi fino a sostare in vetta. 20 m V+.

Guglia Negrin (Via Casara): L1 30 m IV (chiodi, spit e clessidre) Si sale dritti e poi verso destra fino in vetta. Calata di 35 m in leggera diagonale verso la sella con la Guglia Piccola.

Guglia Piccola (Via Casara): L1 25 m IV (chiodi, spit e clessidre) si sale dritti per gradoni e fessure, roccia non ben ripulita. Calata direzione Giaròn della Scala.

Discesa: Breve doppia di 25 m fino alla sella con la guglia Negrin, da qui si prosegue sulla Negrin oppure si prende un altra doppia da 50 m nel canale che deposita sul Giaròn della Scala.

L1
 
L1

L2 Chiave

L5

Guglia Negrin (Via Casara)

La GEI sullo sfondo

Quel che resta del Corno, Guglia Piccola e Guglia Schio

Guglia Piccola (Via Casara)

Guglia Negrin e Guglia Piccola: le calate


martedì 3 giugno 2025

Prima Torre del Camp, Via Raffaele Conedera (400 m, VI)

Zona: Moiazza
Sviluppo:400 m
Esposizione: W
Tempo: 6 h
Difficoltà: VI R3
Discesa: a piedi
Materiale: nda, doppiare i friend m.p.
Disegno seguito

Via firmata Massarotto-Conedera, famosa per l’impegno psicologico dovuto al mix di esposizione e scarsezza di protezioni. In realtà, a parte la sosta 5: un solo chiodo piantato a metà, che conviene rinforzare, le altre soste sono presenti e attrezzate con due protezioni ciascuna. Noi l’abbiamo gustata solo a metà: da L8 in poi ci siamo ritrovati sotto una pioggerellina insistente, mentre il temporale infuriava sul vicino massiccio dell'Agner con grandine e fulmini. Da affrontare con meteo stabile in quanto da L7 non è più possibile una ritirata.

Accesso: 
Da Malga Framont imboccare l’Alta Via n. 1. Oltrepassata la Forcella del Camp, proseguire sul sentiero in discesa finché, sulla destra, si nota una traccia che scende sotto le pareti. Risalire il canale che sale verso il Tridente del Camp, quindi traversare a destra lungo la cengia ascendente verso sinistra (tratti di II) che conduce all’attacco su una cengia mugosa, cordino nero. 1h 30.

Descrizione:
L1 Per rocce facili raggiungere un gradino alla base del diedro; sosta su solido spuntone. 30 m, IV
L2 Seguire il diedro e uscire quasi al termine verso destra, sosta attrezzata in cima al pilastro. 50 m, V
L3 Disarrampicare verso destra fino alla base di una marcata fessura/lama dove inizia la sezione successiva; sosta attrezzata. 20 m
L4 Salire la fessura/lama sino al suo termine, spostarsi a destra sotto un tettino accennato, quindi traversare a sinistra sotto l’evidente tetto triangolare e sostare subito sopra. Sosta attrezzata. 35 m, V+
L5 Traversare nettamente in leggera salita verso destra alla base di un diedro aperto, sosta su un chiodo mal piantato. 20 m, V.
L6 Rimontare il diedro aperto, poi portarsi sulla parete sinistra sfruttando una fessura poco evidente e sostare su terrazzino. 25 m, VI-
L7 Traverso a destra poi leggermente dritti (cordone) e poi ancora nettamente a destra su roccia giallastra fino a bissare lo spigolo. Sosta attrezzata. 35 m, VI
L8 Per placca lavorata raggiungere un breve diedro, quindi obliquare a destra fino a una comoda sosta. 35 m, VI-
L9 Superare il breve diedro fessurato sopra la sosta, poi traversare per circa 15 m a destra fino alla base di una rampa sotto gli strapiombi. 30 m, V+. Possibile via di fuga a destra percorrendo la cengia mediana (Cengia alta) che conduce direttamente al Vant delle Nevere. 
L10 Salire integralmente la facile rampa fino alla successiva sosta. 45 III+
L11 Proseguire sulla stessa rampa che diventa un diedrino friabile appoggiato, bissare lo spigolo fino alla forcella dove si sosta e termina la via. 50 m, IV

Discesa:
Seguire la cengia, segnalata da ometti e con un breve tratto attrezzato, fino a incrociare il canale che separa le Torri del Camp dal Campanile dei Zoldani. Scenderlo fino a incontrare il sentiero di rientro della ferrata Costantini (neve ad inizio stagione), quindi riprendere l’Alta Via 1 fino a Malga Framont. 2 h.

L7

Canale di accesso

La prima lunghezza


Diedro aperto

Canale di discesa


martedì 27 maggio 2025

Tessari, Via Cercando il Giusto Chiodo (125 m, V-)

Zona: Salto del Faraone
Sviluppo: 125 m
Esposizione: NE
Tempo:2 h
Difficoltà: V-
Discesa: a piedi
Materiale: nda

Linea piacevole su roccia abbastanza solida, protetta con cordoni in clessidra segnavia e rari chiodi. Piccoli diedri si alternano a placche lavorate, con un paio di passi su terreno più rotto nell’uscita finale: la palestra ideale per chi vuole prendere confidenza con le protezioni veloci. Salita e ripulita da Giorgio Roncolato e Marco Canova nel maggio 2024, corre esattamente di fronte a Gioco a Incastro, posta dall’altra parte del canale della teleferica sulla Parete del Cristo della Strada.


Accesso: Stesso avvicinamento di Momento Curioso sul Salto del Faraone, attacco pochi metri a destra.

Descrizione
L1: 25 m, III.
L2: 20 m, IV-.
L3: 30 m, IV
L4: 30 m, V-
L5: 20 m, III

Discesa: Seguire i bolli rossi che, dopo una radura, riportano al sentiero di discesa verso sud; in alternativa scendere il Canale della Teleferica per concatenare altre vie.




lunedì 26 maggio 2025

Tessari, Gioco a Incastro (200 m, VI)

Zona: Cristo della Strada
Sviluppo: 200 m
Esposizione: E
Tempo:2 h
Difficoltà: VI
Discesa: a piedi
Materiale: nda

Itinerario dal sapore classico aperto da Brighente, Dal Cerè e Vicentini nel 2024, protetto in stile tradizionale, che si snoda con eleganza alla ricerca della roccia più bella – da qui il nome. L’attacco regala subito un tiro elegante e sostenuto. Le lunghezze successive, più morbide e piacevoli, conducono sotto una caratteristica fascia rossastra verticale. Qui, la progressione si fa più tecnica ma sempre logica, grazie alla roccia generosamente lavorata che regala movimenti eleganti. Un traverso lungo e aereo, sopra un’ampia placca levigata, introduce agli ultimi tiri, dove le difficoltà si stemperano in passaggi elementari ma mai banali. Consigliato portare qualche friend medio per integrare la protezione nei tratti difficili.

Accesso: si costeggia la base del Salto del Faraone, si oltrepassa l’attacco di «Giocando tra diedri» e, risalito per una quindicina di metri lo sbocco del canalone di discesa, si raggiunge l’evidente spigolo rosso verticale dov’è scritto il nome della via; trenta minuti.

Descrizione:
L1 - 28 m, VI. Muro giallo verticale ma ben ammanigliato. Uscita a destra.
L2 - 29 m, III. Placche lavorate.
L3 28 m, IV. Facili risaltini.
L4 - 20 m, II. Trasferimento a sinistra
L5 - 25 m, V. Muretto verticale e poi verso destra.
L6 - 28  m, VI. Traverso aereo e un po' pazzerello.
L8- 40 m, III. Facili balze terminali.

Discesa: Dall’ultima sosta si passa vicino al Roccolo con il libro di via; seguire una breve traccia segnata fino al sentiero CAI, che seguito verso sud riporta al parcheggio in mezz’ora.

L2

L5


L6