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giovedì 3 luglio 2025

Il Plaisir non Esiste

Racconto apparso su Rock Book #2 di Arrampicata Verona APS - Settembre 2024, Per la presentazione della nuova Guida di Arrampicata "Val d'Adige Plaisir" edita da Idea Montagna.

Pareti inondate di sole

Il sole del tardo pomeriggio inondava le pareti rocciose della Val d'Adige in una caduta di luce calda e dorata. I riflessi del grande fiume brillavano come un serpente d'argento, incastonati tra le ripide pareti che dagli anni ‘80 avevano attirato alpinisti e arrampicatori da ogni dove. Lì le maestose pareti del Monte Cimo e la Chiusa di Ceraino erano diventate un terreno di gioco per i più esperti, che, come allenamento alle ben più ambite pareti Dolomitiche, cercavano la sfida e l'adrenalina su vie che cavalcavano scrigni d’argento sempre più inaccessibili. Eppure, già c'era qualcosa di più nascosto e meno esplorato, qualcosa che avrebbe cambiato la percezione dell'arrampicata in questa valle…

"Il plaisir qui non esiste" ripeteva il giovane apprendista ogni volta che cercava una via alla sua
portata tra le pubblicazioni cartacee circolanti nelle prime due decadi dei 2000. Una via dove
potersi allenare usando protezioni veloci e senza stress di spittature artigianali in S3 o avventurosi avvicinamenti più da cinghiali che da umani.

La prima guida di un apprendista

Così iniziò la loro avventura. Ogni fine settimana le genti venute dall’est, armate di corde, chiodi, cesoie, e macchina fotografica, e un insaziabile desiderio di scoprire e ri-scoprire, esploravano queste pareti tracciando sentieri, aprendo nuove vie, ripulendone di vecchie per poter offrire anche ad altri la gioia dell'arrampicata senza sfide estreme. Lungo il cammino, si aggregarono altri appassionati e insieme ampliarono un terreno di gioco inedito, quasi vergine, in parte ancora da esplorare.

In poco tempo, su chat e portali, iniziarono a circolare svariati schizzi fatti a mano di percorsi nuovi, con nomi curiosi e gradi stuzzicanti. Ne venne fuori una miriade di fogli svolazzanti e quindi la necessità di sistemare il tutto, di dargli ordine e chiarezza: nacque così “V per Valdadige”, la prima raccolta, in formato digitale, di quelle vie.

Carta da formaggio

In poco tempo molte revisioni della guida, con la costante aggiunta di novità ad ogni stagione, accentuarono la frequentazione delle vie rendendole conosciute in tutto il Centro-Nord Italia e anche oltre. Tutto questo è continuato in equilibrio e collaborazione tra chiodatori e passione dedicata alla continua e costante opera di raccolta informazioni ed impaginazione grafica fino a quando un famoso Editore, con l’ufficio all’ombra di Rocca Pendice, nel Padovano bussa alla porta delle genti dell’est: “Perché non mettere il tutto su carta stampata? Molti, leggendo le relazioni, vogliono ancora provare il piacere della carta patinata sotto i polpastrelli”.

La raccolta viene così ampliata ed integrata in una stagione di intense ripetizioni e concatenamenti con in una mano carta e penna e nell’altra cesoia e seghetto: questo per conoscere ancora più a fondo le vie che ancora mancano nel palmares delle ripetizioni.

Creazione e manutenzione

Dall’inizio di quest'avventura, svoltasi in una decina di anni, il Monte Cordespino, tra il Cimo e la grande pianura, oggi è diventato un paradiso per gli arrampicatori che cercano un'alternativa più vicina di Arco ma anche il piacere semplice e puro dell'arrampicata. Decine di vie di bassa e media difficoltà hanno preso forma, diventando ben frequentate dai corsi CAI e dalle Guide Alpine. Quelle pareti, un tempo quasi ignorate, sono diventate un rifugio per chi vuole godersi un piccolo angolo di montagna, erosa dai ghiacci e dalle piogge, catapultato nel fondovalle, a pochi metri dal cacofonico ronzio della A22.

“Il plaisir non esiste”, aveva detto quel primo giorno l’apprendista, ma in realtà, lo aveva trovato, e poi condiviso, con il mondo. La guida Val d'Adige Plaisir allora non è solo uno sterile elenco di vie messe in ordine da sud a nord con un tetto di difficoltà massima, ma una celebrazione della bellezza nascosta e della gioia dell'esplorazione. Un invito a guardare oltre alle sfide e a scoprire la serenità e il piacere dell'arrampicata sulle pareti meno conosciute della Val d'Adige.

Un successo non atteso


Così, ogni volta che un nuovo arrampicatore aprirà la guida e sceglierà una via, riscoprirà quella stessa magia che gli autori e i loro compagni avevano trovato. E, mentre le dita scorreranno sul fine calcare mentre il sole tramonta dietro il Lago di Garda, capiranno che il plaisir non solo esiste, ma è lì, in ogni movimento, in ogni respiro, in ogni libro di via firmato.

Manuel Leorato

L'alpinismo come volontà e rappresentazione

Quando ho iniziato a scalare, per la prima volta su quella placconata assolata nella Valle della Luce stavo iniziando a percorrere un sentiero interiore tracciato da uno dei filosofi più complessi e affascinanti del XIX secolo: Arthur Schopenhauer. Non è stato lui certo a darmi la spinta per farmi prendere in mano le scarpette, ma è stato lui a fornirmi gli strumenti per comprendere perché, a distanza di molti anni, non riuscivo mai a fermarmi, neanche dopo la cima più alta raggiunta o la via più impegnativa scalata. E questo perchè? Perchè ogni discesa conteneva sempre già in sé l'inerzia e la spinta verso una nuova salita.La volontà di cui parla Schopenhauer è una forza bruciante, cieca ed istintiva, che muove tutto: l'uomo, gli animali, gli alberi, perfino la materia inanimata: le pietre che cadono. È desiderio, fame, spinta. Non ha uno scopo razionale: vuole solo continuare a “volere”. Nel mio piccolo, quando inseguivo numeri, nomi e ripetizioni, ero completamente immerso in questa volontà. Non c'era cima che bastasse. Appena raggiunta, ne compariva un'altra nella mia mente, più difficile, più "vergine", più mia. Ma il filosofo ci avverte: questa fame infinita non porta alla felicità, ma alla sofferenza. Perché desiderare significa essere sempre, in qualche misura, mancanti. E quante volte io stesso ho pensato: "perché non basta mai?" Per fortuna personalmente oggi per me scalare piccole o grandi pareti che siano, di fondovalle o di alta montagna, non lo vivo più come una sfida o la caccia ad un numero. È diventato uno specchio, in cui osservo cosa mi muove davvero.

La vita oscilla fra dolore e desiderio

Negli anni quanti amici ho visto stancarsi, disilludersi, perfino fuggire dalla montagna dopo anni di passione bruciante. In fondo, è la stessa differenza che tracciava Bruno Detassis tra le due anime di chi va in montagna: il crodaiolo vive per la difficoltà, per il gesto tecnico, per la sfida nuda. Ma spesso, proprio per questo, se ne allontana col tempo. L'alpinista, invece, è mosso da una passione che guarda alla cima, alla linea, alla bellezza del cammino, anche se più semplice e ne rimarrò fedele. "Io andrò in montagna finché le gambe mi porteranno." diceva il Custode del Brenta. Eppure, in montagna c'è qualcosa di più. Qualcosa che, proprio il pensatore tedesco, riconosceva come unica tregua dalla morsa del desiderio: l’arte, la musica e la meditazione. O meglio: la contemplazione estetica. Quindi non è una via l’opera d’arte come uso comune scrivere nel nostro "settore", ma è l’emozione del raggiungimento della vetta, le nuvole sotto di essa, il momento silenzioso al termine di una scalata, che identifica e completa il raggiungimento del nostro obiettivo. Lì, al termine di uno spigolo aereo, con il vuoto alle spalle e le nuvole che si aprono sopra alle Pale, si può sentire, per un istante, l’assenza del volere. Non desidare più nulla. Non voler arrivare, non dimostrare. Solo essere, guardare, respirare ed essere parte del tutto.

La montagna osservata come un attimo puro, senza volontà.

Qui entra in gioco una riflessione cruciale. In arrampicata esistono due archetipi di “via”: la via per se stessi: protezioni assenti, nessuna traccia, pietre in bilico, rischio alto. La via per gli altri: ripulita dal primo salitore o dalle ripetizioni, con soste sicure e protezioni nei punti giusti: affrontabile da chiunque abbia esperienza a discernere dallo stile, sportivo o alpinistico che sia. Secondo l’etica di Schopenhauer, la prima è ancora espressione della volontà. Vuoi salire, vuoi essere primo, vuoi distinguerti. Anche se cammini sul filo del rasoio, lo fai per il tuo Io. La seconda invece, può diventare un atto morale. Se apri una via per permettere ad altri di viverla con fiducia, se metti protezioni buone pensando non a quanto sei bravo nel posizionare volontariamente più lontano possibile, ma a quanto può essere bello e sicuro per altri... allora stai negando l’egoismo. E Schopenhauer questo lo chiama compassione; l’etica è compassione.

Chi pianta un chiodo per un altro che non conosce, ha già negato la supremazia del proprio ego.

Prendiamo una via immaginaria: la Clessidronomo sul Sarcofago d’Argento. È una via relativamente recente, fine anni ‘90, ma già classica per le ripetizioni,  elegante. Quello che colpisce è la generosità con cui è stata idealizzata: protezioni nei punti giusti, senza esagerare, lasciando la possibilità di integrare. Soste ben piazzate, difficoltà non banali ma nemmeno estreme. È una via che "accoglie", non che respinge. Chi l’ha tracciata non cercava il grado più alto, ma la bellezza e la possibilità di condividerla.

In una via pensata per gli altri: la bellezza e la sicurezza si incontrano.

Da queste riflessioni nasce un pensiero che condivido con ogni chiodatore, ogni apritore, ogni amante delle linee pulite e curate: la vera via è quella che può essere percorsa anche da chi viene dopo. Non aprire per la gloria, ma per amore della linea e del prossimo. Ogni protezione è un gesto morale. Rispetto per la roccia, non piegarla al proprio ego. Non confondere il rischio con l’etica e lasciare qualcosa che duri, non solo tra le fessure della roccia ma nella mente di chi salirà.

Non ogni traccia porta a una cima, ma alcune portano a se stessi.

Schopenhauer non era un alpinista, ma credo che avrebbe capito profondamente la tensione interiore dell’arrampicatore. Anzi, credo che la lettura schopenhaueriana completi una visione già intuita in tempi più recenti da Reinhold Messner: quella dell'alpinista come Sisifo moderno, condannato a salire ancora e ancora, pur sapendo che la cima è effimera. Nel suo pensiero l’avventura è specialmente dolore e ci ricorda che la montagna è più fatica che esito, più volontà che appagamento. L’alpinista, come il pensatore, è colui che affronta la fatica sapendo che il desiderio non si spegnerà mai, e che proprio in questa lucida consapevolezza sta il suo valore umano. Se l’uomo cerca di liberarsi dal dolore, il desiderio della montagna può essere insieme specchio e sentiero. Si può scalare per ego, e cadere nel ciclo eterno del volere, oppure si può scalare per comprendere, per essere presenti, per accompagnare gli altri. Aprire una via per il prossimo, ben protetta, generosa, è già per se una negazione dell’io. Un piccolo passo fuori dalla volontà e quindi, forse, verso la vera libertà.

Manuel Leorato